Nella presentazione al libro Milan Kundera scrive: «Credo soltanto di sapere che la letteratura non potrà sopravvivere senza la critica letteraria in forma di saggio. Senza una meditazione personale così come la conosciamo (ad esempio) in Nietzsche, in Hermann Broch, in Julien Gracq, in Octavio Paz. Questo tipo di riflessione saggistica, attraverso i suoi sguardi, i suoi giudizi, i suoi stupori, i suoi dubbi, ha sempre accompagnato la letteratura». Ma «la critica letteraria in forma di saggio» e di «meditazione personale» sembra scomparsa, appartenere al passato, fagocitata da una parte dalla Dea Attualità e dall'altra dalla scienza e dai suoi proclami post-umanistici. Eppure senza l'arte del saggio, anche le altri arti, secondo Kundera, rischiano di essere condannate alla solitudine, all'oblio, alla moda, alla morte. Nel suo saggio «per tutti e per nessuno», Massimo Rizzante ci ricorda che essere radicali significa tornare continuamente alle radici, che la storia non può essere sostituita dalla cronaca e che i frutti dell'albero dell'arte del romanzo, considerati i décalage che esistono tra le diverse parti del mondo - e la coesistenza di diversi gradi di civiltà -, possono nascere nei luoghi più segreti. Tuttavia, afferma l'autore, se il romanzo è un albero, il romanziere non aspira a coltivarlo. Non aspira al giardinaggio. Quel che desidera è appartenergli, diventare un ramo di quell'albero. A tal punto che sarà inutile cercare di ridurre la complessità dell'opera alla storia del suo paese natale, alla sua lingua, al patrimonio della sua nazione. Ogni nuovo ramo dell'albero del romanzo, infatti, è una misteriosa messa in discussione della sua genealogia.