Perché il cinema americano quando mette in scena uomini di potere li chiama con il loro vero nome (JFK, Nixon, Lincoln) mentre il cinema italiano ha bisogno quasi sempre di ricorrere a maschere (il divo, il duce, il caimano)? Perché dopo settant'anni di democrazia il nostro immaginario del potere è ancora legato all'idea di intrigo, congiura, complotto, cospirazione? Perché l'idea che il potere possa anche essere "buono" è così estranea al nostro sentire? Divi, duci, guitti, papi, caimani usa il cinema e i film per mettere a fuoco non tanto un saggio sul potere, quanto una riflessione sulle rappresentazioni del potere. Sulle mascherature del potere. Sui fantasmi legati al potere. Sul modo in cui il potere evocato sugli schermi del cinema si sia poi radicato nell'immaginario collettivo, l'abbia fecondato e suggestionato, fino a generare contraccolpi e conseguenze anche sulla percezione del potere (e sulla relazione con il potere) che gli italiani hanno messo in atto - sia individualmente che collettivamente - nella propria storia e nella propria vita.