pp.300
Conosco da tempo Maddalena Mongiò e ho avuto modo di apprezzare il suo lavoro edito da Manni dal titolo “Il portone sulla piazza” ( con cui è stata finalista al premio Regium Julii come opera prima), un libro singolare a metà strada tra tradizione e innovazione scritturale, carico di coazioni e ossessioni, dove si parla di un Sud fondamentalmente lancinante. Ora la scrittrice salentina porta alla luce una nuova opera dal titolo “Il pesce pietra” per i tipi di Giulio Perrone LAB di Roma, primo volume della collana “Gli ulivi” diretta dall’infaticabile editor Teresa Romano.
Il protagonista è Luca Zante, giornalista freelance, che in un giorno come tanti (di quelli in cui non puoi mai immaginare che ti crollerà il mondo addosso), riceve una telefonata dove gli viene annunciato che sua moglie Mara è stata arrestata per associazione a banda armata. Un inizio che scatenerà tutto un fitto intrecciarsi di vicende e destini che si incrociano e si perdono negli interstizi del tempo, in un turbinio di eventi tra alta moda, sesso senza limiti, affari multimiliardari condotti con spregiudicatezza, lotta armata, pesanti “inciuci” tra politica, affari, amanti e … qualcosa che ha a che fare con l’imponderabile.
Zante ricorda tutto dopo ben cinque anni da quella maledetta telefonata, e lo fa attraverso un colloquio confidenziale con i lettori. Spesso emergono dalle viscere della narrazione i tracciati esistenziali di personaggi come Taylor, Marco, Mara, Susanna, Evelina o di intere famiglie come i Saronne o i Lombardi Tanone, inconsapevoli attori di una farsa pericolosa e malevola.
Il mosaico che la Mongiò intende presentare a chi avrà l’opportunità di leggere questo lavoro, incalzante e ben scritto, è un mondo fatto di intrighi, tradimenti, grandi bugie, e un omicidio frutto di una delle tante corto-circuitazioni che a ciascuno di noi possono accadere nella vita. In fondo la Mongiò consegna un romanzo dal forte impianto socio-antroplogico, dove va a descrivere le zone morte di una classe sociale alto-borghese oramai alla deriva, e soprattutto lo fa con l’intento di dimostrare come si è fondamentalmente smarrito il senso dell’amore, a maggior ragione quando a parlare è la sete di arrivismo, e la bulimia del potere. In questa seconda prova letteraria l’autrice affronta un romanzo corale in cui i personaggi si raccontano e si mostrano senza alcuna riserva e nessun pudore.
Ora per leggere questo libro non è necessario aver provato l'incandescente esperienza di vita di guidare una Porsche in estate lungo le vie di Positano mentre si assapora l'odore e il colore dei soldi nei luoghi cult dell'establishment vacanziero radical chic da V. I. P. , non è necessario vantare tra i propri avi almeno un conte, un barone o un principe, o aver fatto parte della storia della lotta armata negli anni di piombo, non è necessario insomma avere questo background ontologico, ma è necessario prepararsi a leggere un libro che vi terrà inchiodati con gusto dalla prima all’ultima pagina.
INTRODUZIONE di STEFANO DONNO