«A differenza di altri critici portati all'applicazione della giustizia sommaria in ambito letterario, Giuseppe Bonura non invocava mai la regola del "non l'ho letto e non mi piace". Leggeva tutto, al contrario, specialmente quello che prevedeva non gli sarebbe piaciuto. Leggeva nella speranza di essere smentito, di scoprire che un narratore era cresciuto oppure che un critico aveva meglio focalizzato interessi e metodo di lavoro. E leggeva nel timore di essersi sbagliato, di aver operato un'eccessiva apertura di credito nei confronti di un autore che, invece, si era affrettato a capitalizzare la propria reputazione in chiave commerciale. Di tutti i peccati che in letteratura si possano commettere, l'unico che Bonura non era disposto a perdonare era infatti l'asservimento (intenzionale o, peggio ancora, involontario) alle regole del mercato, l'omologazione a un modello di intrattenimento "aeroportuale", il ricorso peloso alla ruffianeria e al compiacimento. Gli articoli raccolti in questo libro apparecchiano un dossier vasto quanto sorprendente, nel quale, pur ricorrendo frequentemente la stroncatura - un'arte oggi assai poco praticata, che Bonura sapeva rendere con sferzante ironia - non mancano gli esercizi di ammirazione, né le ammissioni di lealtà e valore pur in un contesto di aperto dissenso. Una lezione di "critica militante" esemplare e rara in questa società dove, anche e più che mai fra scrittori, vige il "politicamente corretto"».