pp.238, brossura 15x21
Volume di grande utilità per chi voglia accostarsi allo studio della cultura salentina dei secoli XV e XVI, appare agile ed elegante nella sua veste grafica. Esso esce in questo 2012, anno che l’Amministrazione comunale di Zollino, patria natale di Stiso, ha voluto definire, per bocca dell’assessore alla cultura Antonio Chiga, l’“anno dedicato alla memoria” (Presentazione, p. 11) di Sergio Stiso. Era costui un sacerdote di rito greco, vissuto a Zollino tra il 1454 ca. e il 1535, magister di greco e fine indagatore delle antichità classiche, amico e frequentatore di personaggi come Matteo Tafuri, suo discepolo, Giano Lascaris, bibliotecario di Lorenzo dei Medici e fondatore del Collegio greco di Roma, e Antonio Galateo, per fare solo qualche nome. In effetti, in questo anno, l’Amministrazione di Zollino ha anche organizzato una giornata di studi sull’umanista nel giorno della Fiera di San Giovanni (23 giugno), di cui si attendono gli atti.
Il volume è diviso in tre parti. Nella prima (pp. 15-89), firmata da Paolo Pellegrino, il docente di Estetica dell’Università del Salento esamina la cultura salentina tra Umanesimo e Rinascimento, inserendola nel quadro della cultura nazionale ed europea del tempo. Lo studioso fa il punto sullo stato degli studi che ruotano intorno ad una questione così formulata: “Si può correttamente parlare di un Umanesimo salentino, cioè di una cultura quattro-cinquecentesca che sia fiorita in Terra d’Otranto con proprie specifiche e peculiari caratteristiche?” (p. 48). Pellegrino risponde di sì, e lo fa con le parole di un benemerito degli studi sull’Umanesimo e il Rinascimento salentino, Antonio Corsano, che, già nel 1969, così risolveva la questione: “Fra le due civiltà, quella occidentale e quella greco-bizantina, o meglio greco-salentina, c’è una differenza fondamentale: la civiltà occidentale rinacque, la civiltà greco-salentina non ebbe bisogno di rinascere. C’è una presenza assidua, costante, c’è una luce ininterrotta nella quale non ci sono le masse pesanti di oscurità che incombono sulla storia centro-settentrionale italiana ed europea”. Il che vuol dire che un personaggio come Sergio Stiso, di cui non ci rimane quasi nulla (solo, come scrive André Jacob, “qualche ricordo di un discepolo, due lettere sue, qualche annotazione sparsa qua e la nei codici e un manoscritto” (p. 218), non è che un continuatore di una lunga tradizione di cultura greca nel Salento mai interrotta, almeno fino a tutto il Cinquecento.
La seconda parte del volume (pp. 91-210) è un’antologia critica molto utile, nella quale Pellegrino riunisce tutte le principali fonti che hanno tenuto vivo il dibattito su questo periodo della nostra cultura, almeno nell’ultimo secolo: da Francesco Lo Parco (1919) a Mauro Cassoni (1936), da André Jacob (1982) a Oronzo Mazzotta (1989), a Santo Lucà (2005), fino a Daniele Arnesano (2010).
Il volume termina con un’Appendice (pp. 211-235) in cui compaiono tre scritti: un profilo di Sergio Stiso firmato da André Jacob (1984), una ricerca di Giuseppe Chiriatti sul rito greco a Sternatia (1904) e una breve nota conclusiva dello stesso Pellegrino sulla sfortunata abbazia di Casole, che, come si sa, fu distrut