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( ... ) Egli non fu solo un grande maestro di scuola innovando profondamente i sistemi di insegnamento, né solo l'appassionato ricercatore della memoria antropologica della nostra gente, né solo il raccoglitore di documenti attraverso le tecniche della fotografia, della ricostruzione, del lavoro di gruppo, né il magico affabulatore sociale che fece rivivere il passato con la poesia popolare e con la musica; ma fu soprattutto la testimonianza vivente della integrazione delle conoscenze, della intersecazione dei saperi, della complementarità di nozione e prassi, di umanesimo e tecnica. Egli fu tale nei comportamenti quotidiani: senza sforzo e senza ostentazione.
La sua gioia di maestro, quasi sempre sottovalutato se non addirittura irriso per la sua disomogeneità pedagogica che spesso metteva in crisi la didattica codificata e le astrazioni teoriche dei pedagogisti, era quando poteva recuperare un emarginato, dare dignità ad un portatore di handicap, portare l'intera classe senza distinzione di censo e di ceto, di intelligenti e di ritardati, ad un eguale livello di apprendimento, ad un eguale comportamento di solidarietà e di affetto. Le sue classi furono sempre, per così dire, di risulta, perché costituite dagli alunni meno privilegiati, più discoli, e più indigenti. Ma tutti egli conquistava con la sua bontà, la sua dedizione, il suo sorriso.