Signori a Tavola Il Salento in 101 menù e 1100 ricette + cofanetto

Lazari Lucia
Dello stesso autore
Editore/Produttore: CONGEDO EDITORE
EAN: 9788880868323



pp.413 rilegato 21x30; ill.colori  IN COFANETTO

Il menu, la sua composizione, l'accostamento dei piatti e dei vini hanno un'importanza fondamentale nella valorizzazione della cucina del territorio, nella salvaguardia della tradizione gastronomica, nella storia e nella evoluzione della civiltà della tavola.
Ogni epoca ha le sue ricette, i suoi piatti, i suoi menu, la sua gastronomia.
Nella Grecia classica gli dei si nutrivano solo di nettare e di ambrosia, ma i comuni mortali indulgevano ai piaceri della tavola come possiamo evincere da alcuni frammenti di un poemetto di Archestrato su questo argomento.
Del tempo dei romani è
invece il trattato De re coquinaria in 10 volumi, con poco meno di cinquecento ricette. Varie testimonianze antiche (di esse parla Seneca) riferiscono che un Apicio aveva scritto di culinaria. Era certamente M. Gavio Apicio, che visse al tempo di Tiberio e profuse in banchetti la più gran parte del suo immenso patrimonio. L'opera (certamente rimaneggiata) arrivata a noi, appartiene, come sembra, ad un editore della fine del sec. IV ed è scritta in latino volgare.
Da cronisti e storici coevi conosciamo le abitudini alimentari e le preferenze gastronomiche di Attila come di Carlo Magno, nonché di
Federico II, che pur consumando tutti i giorni pasti frugali e monotoni, nelle grandi occasioni, per esaltare l'opulenza dell'anfitrione, si serviva di piatti e portate che dovevano sbalordire gli ospiti. Lui stesso è autore di un trattato, il Liber de coquina.
In realtà, l'era dei grandi banchetti iniziò dopo la tremenda epidemia di peste del 1350, come esaltazione della vita, dopo I' 'egemonia' della morte. Banchetti straordinari si snodarono per secoli o in occasione di matrimoni di Stato che determinavano nuove alleanze, o anche solo per celebrare avvenimenti particolari che offrivano l'occasione per banchettare e in trattenere. Da non dimenticare i pranzi offerti dai re di Francia, alla corte di Versailles, ai nobili, prima della rivoluzione francese, e caratterizzati dalla quantità enorme di vivande, dalla ostentazione di vasellame e argenterie. Ma in questi convivi una sola cosa mancava, il menu, il menu come oggetto, un cartoncino o un libretto che contenesse l'elenco completo delle portate con i vini che l'accompagnavano.
Una motivazione storica c'è, perché è solo a partire dal 1810 che si ha il passaggio dal servizio "alla francese" al servizio "alla russa". Il servizio "alla francese", corrispondente ai nostri pranzi "a buffet", consisteva nel presentare contemporaneamente agli invitati tutte le portate del primo servizio, su una grande tavola riccamente imbandita (gli invitati potevano vedere le vivande a loro servite quindi il menu era superfluo). L'operazione era ripetuta per almeno 3 volte, con un minimo di due servizi di cucina e uno di credenza (corrispondente al nostro dessert).
Quando si passò al servizio "alla russa", che è poi quello ancor oggi in vigore nei pranzi seduti, in cui le portate sono presentate e servite una per volta e nell'ordine stabilito dal padrone di casa o dallo chef, comparve il menu con la funzione di far avere ai commensali un'idea della consistenza del pranzo.
La definizione "alla russa" deriva dal principe Borissovic Karachin, ambasciatore dello zar Alessandro I presso Napoleone Bonaparte. Nel giugno del 1810, egli fu il primo ad offrire nel suo palazzo di Clichy, alle porte di Parigi, un
pranzo con questo rivoluzionario servizio.
Le collezioni più belle e famose di menu, questi cartoncini e libretti splendidanierae decorati, si possono ammirare sia al Castello Sforzesco di Milano nella civica raccolta delle Stampe di Achille Bertarelli, la quale è, nel suo settore', una delle più importanti del mondo, sia nell'Archivio di Stato della Città di Torino che contiene anche quella di Silvio Simenon.
1 menu che si snodano nelle pagine seguenti non si riferiscono ai menu intesi come cartoncini, libretti, ma hanno un significato "concettuale", cioè elenco di piatti da offrire, insieme di portate che costituiscono un pranzo, lista di vivande, da quelle giornaliere a quelle usate nelle grandi occasioni, ma soprattutto vanno al di là del contenuto gastronomico e sono specchio della
società, documento del vivere civile di un popolo.
Nella composita tradizione culinaria del Salento, estrema ma non ultima terra del Regno di Napoli, c'è tutta la sua storia, fatta di influssi bizantino-normanni, arabi, svevi, angiomi, aragonesi, spagnoli, che tradiscono, in alcuni piatti, provenienze da culture diverse e lontane.
Un patrimonio storico, quindi, oltre che gastronomico, immenso.

Il volume si divide in cinque sezioni:
Dalla storia e dalla cronaca Dai quaderni di ricette di famiglia
Tra tradizione e innovazione
Dalla cucina tipica
Dal calendario delle feste
Sono menu e ricette, ma anche testimonianze di cultura, civiltà, vita nel Salento.


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Disponibilità: 2 disponibile

pp.413 rilegato 21x30; ill.colori  IN COFANETTO

Il menu, la sua composizione, l'accostamento dei piatti e dei vini hanno un'importanza fondamentale nella valorizzazione della cucina del territorio, nella salvaguardia della tradizione gastronomica, nella storia e nella evoluzione della civiltà della tavola.
Ogni epoca ha le sue ricette, i suoi piatti, i suoi menu, la sua gastronomia.
Nella Grecia classica gli dei si nutrivano solo di nettare e di ambrosia, ma i comuni mortali indulgevano ai piaceri della tavola come possiamo evincere da alcuni frammenti di un poemetto di Archestrato su questo argomento.
Del tempo dei romani è
invece il trattato De re coquinaria in 10 volumi, con poco meno di cinquecento ricette. Varie testimonianze antiche (di esse parla Seneca) riferiscono che un Apicio aveva scritto di culinaria. Era certamente M. Gavio Apicio, che visse al tempo di Tiberio e profuse in banchetti la più gran parte del suo immenso patrimonio. L'opera (certamente rimaneggiata) arrivata a noi, appartiene, come sembra, ad un editore della fine del sec. IV ed è scritta in latino volgare.
Da cronisti e storici coevi conosciamo le abitudini alimentari e le preferenze gastronomiche di Attila come di Carlo Magno, nonché di
Federico II, che pur consumando tutti i giorni pasti frugali e monotoni, nelle grandi occasioni, per esaltare l'opulenza dell'anfitrione, si serviva di piatti e portate che dovevano sbalordire gli ospiti. Lui stesso è autore di un trattato, il Liber de coquina.
In realtà, l'era dei grandi banchetti iniziò dopo la tremenda epidemia di peste del 1350, come esaltazione della vita, dopo I' 'egemonia' della morte. Banchetti straordinari si snodarono per secoli o in occasione di matrimoni di Stato che determinavano nuove alleanze, o anche solo per celebrare avvenimenti particolari che offrivano l'occasione per banchettare e in trattenere. Da non dimenticare i pranzi offerti dai re di Francia, alla corte di Versailles, ai nobili, prima della rivoluzione francese, e caratterizzati dalla quantità enorme di vivande, dalla ostentazione di vasellame e argenterie. Ma in questi convivi una sola cosa mancava, il menu, il menu come oggetto, un cartoncino o un libretto che contenesse l'elenco completo delle portate con i vini che l'accompagnavano.
Una motivazione storica c'è, perché è solo a partire dal 1810 che si ha il passaggio dal servizio "alla francese" al servizio "alla russa". Il servizio "alla francese", corrispondente ai nostri pranzi "a buffet", consisteva nel presentare contemporaneamente agli invitati tutte le portate del primo servizio, su una grande tavola riccamente imbandita (gli invitati potevano vedere le vivande a loro servite quindi il menu era superfluo). L'operazione era ripetuta per almeno 3 volte, con un minimo di due servizi di cucina e uno di credenza (corrispondente al nostro dessert).
Quando si passò al servizio "alla russa", che è poi quello ancor oggi in vigore nei pranzi seduti, in cui le portate sono presentate e servite una per volta e nell'ordine stabilito dal padrone di casa o dallo chef, comparve il menu con la funzione di far avere ai commensali un'idea della consistenza del pranzo.
La definizione "alla russa" deriva dal principe Borissovic Karachin, ambasciatore dello zar Alessandro I presso Napoleone Bonaparte. Nel giugno del 1810, egli fu il primo ad offrire nel suo palazzo di Clichy, alle porte di Parigi, un
pranzo con questo rivoluzionario servizio.
Le collezioni più belle e famose di menu, questi cartoncini e libretti splendidanierae decorati, si possono ammirare sia al Castello Sforzesco di Milano nella civica raccolta delle Stampe di Achille Bertarelli, la quale è, nel suo settore', una delle più importanti del mondo, sia nell'Archivio di Stato della Città di Torino che contiene anche quella di Silvio Simenon.
1 menu che si snodano nelle pagine seguenti non si riferiscono ai menu intesi come cartoncini, libretti, ma hanno un significato "concettuale", cioè elenco di piatti da offrire, insieme di portate che costituiscono un pranzo, lista di vivande, da quelle giornaliere a quelle usate nelle grandi occasioni, ma soprattutto vanno al di là del contenuto gastronomico e sono specchio della
società, documento del vivere civile di un popolo.
Nella composita tradizione culinaria del Salento, estrema ma non ultima terra del Regno di Napoli, c'è tutta la sua storia, fatta di influssi bizantino-normanni, arabi, svevi, angiomi, aragonesi, spagnoli, che tradiscono, in alcuni piatti, provenienze da culture diverse e lontane.
Un patrimonio storico, quindi, oltre che gastronomico, immenso.

Il volume si divide in cinque sezioni:
Dalla storia e dalla cronaca Dai quaderni di ricette di famiglia
Tra tradizione e innovazione
Dalla cucina tipica
Dal calendario delle feste
Sono menu e ricette, ma anche testimonianze di cultura, civiltà, vita nel Salento.

Dettagli
DatiDescrizione
EAN9788880868323
AutoreLazari Lucia
EditoreCONGEDO EDITORE
Data pubblicazione2008/12
CategoriaCucina & Enogastronomia
Pagine416
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