IL PREZZO E' PURAMENTE INDICATIVO: NOVITA' DISPONIBILE MA PREZZO ANCORA NON CONFERMATO DALL'EDITORE
pp.220 brossura 17x24
Il Viatico è il solo scritto organicamente autobiografico di Lanza del Vasto. Si tratta in origine di appunti diaristici che l’autore ha preso sin dagli anni della gioventù, in parte pubblicati previa reimpostazione negli anni Settanta dello scorso secolo. L’insieme dei quattro volumetti editi da Denoël nel 1970, 1973, 1974 e 1975 e che, cronologicamente, si riferiscono agli anni fino a parte del 1926 sono stati accorpati in volume unico nella riedizione delle Éditions du Rocher del 1991 . L’editore monegasco ha stampato contemporaneamente anche un secondo volume postumo, curato dal compagno dell’Arca Arnaud de Mareuil, con notazioni che giungono fino al 1941.
L’importanza dell’opera da un punto di vista documentaristico, per la ricerca biografica, lo studio della formazione e l’analisi della personalità dello scrittore, salta agli occhi. Solo quella della corrispondenza, di cui è uscita in Italia una raccolta relativa alle annate fino a tutto il 1936 , le sta a pari.
Nel riproporre in lingua italiana una prima parte del diario, devo anzitutto annunciare di non essermi attenuto agli schemi di frazionamento in singoli volumi precedentemente praticati. Quelli adottati in origine da Lanza del Vasto erano sostanzialmente di circostanza. Pubblicava gli appunti in libretti man mano che riusciva a rimetterli insieme e a conferire loro caratteristiche di presentabilità, ignorando, data l’età avanzata, fin dove sarebbe potuto giungere in quest’impresa di scavo e restituzione del passato. La formula cui si è rifatto l’editore Le Rocher era, a suo tempo, condivisibile: l’iniziativa di pubblicare gli appunti rimasti inediti era lodevole e il taglio complessivo in due tomi era giustificato, se non altro dalla mole dell’opera. Non ho però voluto recepire il criterio di suddivisione allora prescelto, che privilegia lo scrupolo di separare il già edito dal postumo, soprattutto in quanto implica un illogico strappo in due metà dell’importante annata 1926. Mi è parso preferibile chiudere il presente volume con il momento chiave, tanto significativo, della prima conversione, che si situa alla fine del 1925. Se Iddio mi presterà vita e forza e se non mi mancherà l’appoggio degli editori, preparerò ulteriormente un secondo volume che prenderà le mosse dall’inizio del 1926 e cioè dal Rien qui ne soit tout dell’autore.
Anche nella struttura interna dei volumetti di Lanza del Vasto sono incisivamente intervenuto, in particolare ovviando ad un’atomizzazione eccessiva in brevi capoversi che poco si confà alle nostre consuetudini di scrittura e di lettura e sopprimendo i capitoletti in cifre romane. Al testo medesimo, dall’impressione che Lanza del Vasto, ormai anziano, non abbia avuto il tempo, la pazienza o la voglia di curarlo nei suoi dettagli quanto meritava, sono stato indotto ad arrecare, qua e là, un maggior grado di finitura.
Si vedrà che, a parte la valenza strumentale di cui ho già fatto cenno, il Viatico è gremito di pagine splendide sotto il profilo stilistico e letterario. Alcune evocazioni, alcuni apologi stringatissimi o invece racconti interni diffusi, legati alle personalità di interlocutori francesi e italiani di spicco, sono piccoli capolavori. Le riflessioni argute formicolano in tutti i capitoli. E ci imbattiamo, d’altro canto, in ricorrenti, quasi ossessive digressioni tecnico-filosofiche, indubbiamente ostiche, che però illustrano efficacemente il delinearsi del pensiero dello scrittore e in digressioni metriche che documentano il maturare della tecnica poetica. Il tutto, certo, costituisce uno zibaldone di generi, toni e contenuti, ma la disomogeneità è scontata in questo tipo di scritti. D’altra parte risulta difficile negare che ci troviamo di fronte ad una delle opere più vivaci, più ricche di spunti e, in fin dei conti, di maggior pregio e interesse del maestro di vita gandhiano.
Il giudizio lusinghiero non ci deve però abbagliare fino a farci perdere di vista le smagliature che, in numero non esiguo, lasciano trasparire o addirittura mettono in chiara luce quelle che potremmo definire carenze caratteriali o culturali, ossia punti di debolezza nella personalità del grand’uomo. Mi sono fatto un dovere di richiamare di volta in volta l’attenzione su di esse, ritenendo in tal modo di contribuire a promuovere una proficua riflessione tanto sul personaggio medesimo, quanto sulla sua opera e sul suo messaggio ai contemporanei e ai posteri, meglio che con l’ipocrita riserva o con l’esclusiva, inerte ammirazione che gli tributano in genere i discepoli.
Nonostante gli studi formali compiuti , Lanza è e rimane sostanzialmente un autodidatta, raccolto su sé stesso, preoccupato di sé, pressoché impermeabile ad apporti dall’esterno se non quando gli sembrino da riscattare in virtù di una loro utilità funzionale di sostegno alle proprie tesi. Questo incentrarsi sulla propria identità, sordo a richiami esterni discordanti, fuorvianti, se costituisce una delle forze di Lanza del Vasto e del suo pensiero, anche rappresenta indubbiamente uno dei suoi più vistosi limiti.
Affascinano e trascinano le sue tante intuizioni stimolanti e valutazioni acute, originalissime nella loro semplicità. Ma, a sorpresa, affiorano o si lasciano indovinare anche tratti di vera ingenuità e ci si finisce col chiedere quanta sia, nel suo mondo, nel suo porsi dinanzi alla realtà, nel suo rapportarsi agli altri, nel suo costruire castelli in aria, la parte di profonda intelligenza e saggezza e quanta la quota di solo candore.
Concludo questa succinta, ma doverosa, introduzione esplicativa con un sentito ringraziamento a mia sorella, Anna
Maria Lanza in Pinto, più conosciuta come «Laura», che mi ha validamente soccorso nella rilettura finale del testo.
Manfredi LANZA
Castelvetro di Modena, gennaio 2007