pp.560, rilegato in cofanetto 25×35; oltre 1800 foto dell’artista Palumbo; Tiratura limitata e Copia Numerata
Questo volume rappresenta la concretizzazione del sogno coltivato dall’autore, che per oltre cinquant’anni fotografò il Salento, quello che oggi chiamiamo il “Grande Salento”. Non riuscì però a trovare mai un ente o un Editore che, come nel caso delle Edizioni Grifo, avesse il coraggio di assumere questo impegno editoriale. Nell’arco della sua attività, Giuseppe Palumbo, si adoperò a cercare di restituire per immagini l’identità, anzi le identità, del nostro territorio, aperto alle diversità culturali e non solo per la sua collocazione geogra?ca.
L’Archivio Fotografico Palumbo, consistente in 1740 fotografie, fu donato dall’autore con legato testamentario nel 1959 al Museo Provinciale di Lecce. Per tanti decenni questo prezioso patrimonio della nostra cultura, in cui troviamo rappresentati, ma anche interpretati, aspetti etnogra?ci, artistici, sociali e paesaggistici, è stato compulsato da numerosi appassionati e studiosi. Fino ad oggi ci si è limitati fondamentalmente ad un prelievo delle sue immagini, che sono state pubblicate in varie occasioni, senza porsi alcuna domanda sulla sua personalità e non di rado senza citare l’autore. La stessa cosa del resto è accaduta anche con molte sue pubblicazioni, che sono state utilizzate, senza poi citarle.
Fra tutte le sue fotografie si sono preferite quelle di carattere etnografico, che rispecchiano tradizioni e costumi ormai del tutto tramontati, sia della sua amata Grecìa, sia della colonia albanese di San Marzano. Immagini che ci raccontano di persone di un secolo fa, che non ci sono più, come tanti luoghi e monumenti del Salento da lui fotografati.
Molto interessanti furono inoltre le sue ri?essioni di carattere socio-antropologico, che gli permisero di evidenziare ruoli e comportamenti nella società di tipo agrario. Molte fotogra?e di Palumbo non sono state osservate con la giusta attenzione che avrebbe permesso di rilevare, in una corretta prospettiva culturale, l’originalità della sua ricerca. Per primo osservò, ad esempio, il valore urbanistico della frequente colonna angolare nella città di Lecce o anche l’attenzione pionieristica per i puteali (antichi parapetti dei pozzi, molti ormai scomparsi), le barocche guglie votive o gli “osanna”, i prodotti della ceramica popolare salentina, i variopinti tessuti – ormai introvabili – della popolazione della Grecìa salentina.
Con la sua modesta strumentazione attraversò in lungo ed in largo il Salento per scoprirne le segrete bellezze, valorizzarne le risorse e le capacità produttive.Fra i tanti aspetti della cultura salentina, di cui si occupò, ebbe un posto rilevante l’attenzione peri dolmen, i menhir e le specchie. Allievo morale di Cosimo De Giorgi riuscì sul ?nire dei suoi giorni a vedere pubblicati in due momenti diversi i suoi inventari dei dolmen e menhir salentini dalla prestigiosa “Rivista di Scienze Preistoriche” di Firenze. Negli ultimi decenni della sua attività Palumbo ebbe la gioia di collaborare con riviste specializzate in ceramica, come “Faenza”, o in etnografia,come “Lares” ed altre riviste nazionali importanti.
Per quanto di temperamento mite e riservato, Palumbo ritenne indispensabile uscire allo scoperto ed offrire il proprio contributo alla salvaguardia del nostro patrimonio. Dalle pagine dei periodici locali ebbe il coraggio di schierarsi a difesa dei monumenti, senza temere di dispiacere persone ed istituzioni. Ottenne in cambio la ?ducia del Soprintendente, che gli chiese la collaborazione per la sua competenza nel campo dei monumenti preistorici.
Nonostante tutta la sua generosa produzione, ?nora nessuno aveva dedicato uno studio approfondito e sistematico di essa, a partire dalla datazione delle sue fotogra?e, elemento indispensabile siaper comprendere il suo percorso culturale sia per poterlo relazionare alla cultura contemporanea. Nel volume la studiosa Ilderosa Laudisa, che per qualche anno ha condotto un’attenta analisi di tutta l’opera dell’autore, puntando sul linguaggio fotogra?co, ma non trascurando l’analisi della sua ricerca storica e della sua cospicua produzione giornalistica, ci rivela l’evoluzione della sua personalità (compresi alcuni aspetti ?nora ignorati, come l’inclinazione tutta salentina all’arguzia ed all’ironia), che da fotografo lo portò a divenire anche un intellettuale, studioso del territorio.
Da questa analisi emerge che il suo contributo fu tale, che non è più possibile ometterlo dal panorama dellacultura salentina della prima metà del XX secolo. Nel testo sono inserite anche alcune delle immagini inedite rintracciate, non facenti parte della donazione fatta al Museo Provinciale, in parte messe a disposizione dalla ?glia dell’autore, che è custode delle lastre e del carteggio paterno. Non va dimenticato che le immagini del Salento di Palumbo parlano agli occhi, per la componente estetica, alla quale ?n da giovane dette particolare spazio, all’intelletto di chi vuole ri?ettere econoscere il proprio territorio, ma anche al cuore, per l’amore con cui lo ha dipinto per tutti noi, suoi successori.